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"Per amore del mio popolo non tacerò". Don Peppe Diana, il prete che non ebbe paura di parlare.

  • Francesco Garofalo
  • 6 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

L’orologio, aveva da poco segnato le 7.20, quando nella sacrestia della Chiesa di San Nicola di Bari, a Casal di Principe, si presenta uno sconosciuto. «Chi è Don Peppe», chiede. «Sono io», risponde il parroco. Furono le sue ultime parole. Restò il rumore di quei colpi di pistola, che non lasciarono scampo a Don Giuseppe Diana. Don Peppe, per tutti, un sacerdote ‘scomodo’ per la camorra che quel parroco aveva combattuto con la sola arma della parola, con la predica. Non aveva paura di parlare Peppino, il killer lo uccise mentre si stava preparando a celebrare la messa, lo lasciò in una pozza di sangue, senza vita. Era il 19 marzo 1994. “Per amore del mio popolo non tacerò". Don Peppino, non voleva fare il prete che accompagna le bare dei ragazzi soldato massacrati dicendo ‘fatevi coraggio’ alle madri in nero. A condannarlo, fu ciò che aveva scritto e predicato. In chiesa, la domenica, tra le persone, in piazza, agli scout, durante i matrimoni. E soprattutto, il documento scritto, assieme ad altri sacerdoti: "Per amore del mio popolo non tacerò'. Si tratta, di uno scritto pubblicato il giorno di Natale del 1991, una testimonianza del suo impegno contro la camorra. Quattro pagine, che avevano urtato la sensibilità della criminalità organizzata. Ma non era stato un caso isolato. Peppino, combatteva i clan con tutti i mezzi che aveva a disposizione, denunciava dal pulpito la loro arroganza, organizzava manifestazioni contro le bande malavitose, invitava i concittadini a non votare i politici collusi. Un testimone di speranza, educatore alla libertà, punto di riferimento per i giovani e le persone oneste di Casal di Principe. La crudeltà, con cui hanno strappato alla vita un uomo giusto, non è riuscita a sottomettere la comunità. La testimonianza di Don Diana, è divenuta un simbolo potente di liberazione, una spinta al riscatto sociale. Don Giuseppe ai ragazzi insegnava che la via della libertà passa dal non piegare la testa al ricatto mafioso e che è possibile costruire un mondo migliore. Pagò con la vita il coraggio, e la coerenza personale e la sua vita, è diventata lezione, patrimonio per il Paese. La sua storia, va riletta nella sua interezza e profondità sia per rendere giustizia ad una vicenda martiriale sia per annunciare un’esistenza profetica alle nuove generazioni di cittadini e di credenti.


Il martirio di don Peppino, offre al nostro tempo da un lato l’importanza di una Chiesa “in uscita” per le strade e i problemi della storia; dall’altro una modalità d’impegno “antimafia” distante dai salotti e dalle manifestazioni, ma perseverante nella quotidiana resistenza all’illegalità, alla sfiducia e alla chiusura nel privato. Don Tonino Bello, con il sorriso sulle labbra e con la semplicità nel cuore diceva: “fate spuntare gemme di decisioni forti, e sui rami della vostra vita matureranno i frutti della Speranza". "Parlare oggi - secondo Mons. Francesco Savino, Vescovo di Cassano All'Ionio e Vice Presidente della Conferenza Episcopale Italiana -, ancora e ancora di lui, dopo trentuno anni dalla sua morte, vuol dire “salire sui tetti delle nostre chiese” ed urlare contro quel prudente silenzio che è la rassegnazione e la rinuncia, due morti altrettanto dolorose. Vuol dire parlare di un uomo che, dentro la chiesa, è stato segno e contraddizione; vuol dire conservarne la memoria per continuare ad operare il bene".


Don Peppe, ha operato un cambiamento, un cambiamento più profondo che riguarda la testa delle persone. Segue una rotta precisa nella sua navigazione pastorale ed educativa, come i pescatori quando sono in mare: non è che possono andare dove tira il vento. I pescatori, vanno dove c'è il pesce, costi quel che costi.


 
 
 

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